Quale è la nostra battaglia politica?

Prima ancora di affrontare questo tema cruciale, occorre subito fare una premessa. Infatti, noi proponendoci come rivoluzionari, non possiamo fare a meno di aver per riferimento il primo e più importante manifesto della storia contemporanea, il Manifesto dei Comunisti (1848) di Marx ed Engels. Qualche lettore abbagliato da un certo modernismo potrebbe considerare questa nostra scelta, un po’ vintage. Invitiamo tal lettore a mettere alla prova i propri pregiudizi, e di continuare nella lettura.

Dunque come anticipato, ripercorreremo in questo primo capitoletto il Manifesto dei Comunisti (1848). Il lettore potrà apprezzare rileggendo, anche solo le poche righe che citeremo, il valore incredibile di questa pietra miliare del pensiero rivoluzionario.

«Il proletariato passa attraverso diversi gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia cominciò con la sua esistenza.

Dal principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottarono contro il singolo borghese che li sfruttò direttamente.

Essi [agli inizi] non diressero i loro attacchi soltanto contro i rapporti borghesi di produzione, ma contro gli stessi strumenti di produzione: distrussero le merci straniere che facevano concorrenza, fracassarono le macchine, diedero fuoco alle fabbriche, insomma cercarono di riconquistare la tramontata condizione del lavoratore medioevale.

In questo stadio gli operai costituirono una massa disseminata per tutto il paese e dispersa a causa della concorrenza. La solidarietà di maggiori masse operaie non fu ancora il risultato della loro propria unione, ma della unione della borghesia, la quale per il raggiungimento dei propri fini politici [rovesciamento delle classi feudali al potere N.d.A.], mise in movimento tutto il proletariato, dato che per il momento potette ancora farlo. Dunque in questo stadio i proletari combatterono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Così tutto il movimento della storia fu concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria raggiunta in questo modo fu una vittoria della borghesia.

Ma il proletariato, con lo sviluppo dell’industria, non solo si moltiplicò; venne addensato in masse più grandi, la sua forza crebbe,  ed esso stesso la sentì di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all’interno del proletariato si andarono sempre più agguagliando mano a mano che le macchine cancellarono le differenze del lavoro e facevano discendere quasi dappertutto il salario ad un livello più basso. La crescente concorrenza fra i borghesi e le crisi commerciali che ne derivarono, resero sempre più oscillante il salario degli operai; l’incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine, rese sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio ed il singolo borghese iniziarono ad assumere quindi sempre più il carattere di collisioni fra classi. Gli operai cominciarono col formare, coalizioni contro i borghesi, e si riunirono per difendere il loro salario. Fondarono persino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta sfociò in sommosse».

Dunque in sintesi, lo sviluppo del capitalismo, ha dapprima permesso la trasformazione di una massa della popolazione in lavoratori salariati. Quindi il dominio del capitale, rafforzato anche dalla conquista del potere politico da parte della borghesia, ottenuto anche con l’interessamento del proletariato, ha generato in questa nuova massa, di salariati, condizioni comuni, interessi comuni.

Ebbene, come dice Marx, in Miseria della Filosofia (1847):«Questa massa è così già una classe nei confronti del capitale, in quanto classe sfruttata  dal capitale, dunque non ancora per se stessa».

In una prima fase, senz’altro, lo sviluppo del capitalismo è necessario, benché non sufficiente, per il permutarsi del proletariato in classe per sé. Del resto lo sviluppo del capitalismo accentua la contraddizione fondamentale del capitalismo: la crescente appropriazione privata dei mezzi della produzione, contro la crescente socializzazione della produzione stessa. Dunque il capitalismo prepara alcune delle condizioni sia del socialismo, sia delle crisi sociali che ne possono provocare l’avvento catastrofico.

Questo maturare di condizioni per l’emancipazione del proletariato sono la base materiale necessaria dietro il maturarsi della teoria socialista dall’utopismo alla scienza. Infatti, Marx ci dice in La critica moraleggiante e la morale criticante (1847) che «gli uomini si costruiscono un mondo nuovo non con “i beni della terra”, come immagina la superstizione grobiana, ma con le conquiste storiche del loro mondo che tramonta». Per inciso, approfittiamo per dire che, questa qui, è proprio una frase lapidaria contro chi ancora si ostina a  difendere la formula controrivoluzionaria “del socialismo in un solo paese” dietro una semplice descrizione delle risorse naturalistiche della Russia… ma per non perderci troppo in digressioni, riprendiamo il percorso tracciato nel Manifesto dei Comunisti.

«Ogni tanto vincono gli operai, ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più».

Bada bene caro lettore, anche qui. Questo criterio di bilancio politico delle lotte, benché relativamente semplice ed efficace, non viene usato dai capi popolo, dai sindacalisti, e dagli attivisti di sempre che, al contrario, amano decorare se stessi sulla base anche di dubbi successi, e “incredibili vittorie”. Costoro possono essere, facilmente identificati dal lettore, perché non perdono una occasione per mettere in risalto gli aspetti transitori delle lotte.  Quasi sempre costoro subordinano i loro interessi di struttura o le proprie mire carrieristiche allo sviluppo di un percorso di ricomposizione di classe che mira all’unione vera dei proletari attorno ad obbiettivi che siano unificanti. Tanto per rafforzare quanto detto, contro l’economicismo, citiamo Marx in  Il comunismo dell’osservatore renano (1847): «più che del pane il proletariato ha bisogno del suo coraggio, della fiducia in se stesso, della sua fierezza e del suo spirito di indipendenza». Sta ai comunisti giudicare le lotte, riconoscendo sempre questi bisogni.

Questa unione  di proletari «è favorita dallo aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle differenti località». Questo vantaggio, oggi più che mai, balza agli occhi di tutti, con l’avvento di internet, al cui confronto le novità tecnologiche del 1848 fan sorridere. Internet, come anche la telefonia mobile, naturalmente, desta entusiasmo, giacché «basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale [ma anche internazionale, N.d.A.], in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto ugual carattere». A tal proposito, occorre puntualizzare il denso significato di quanto detto, perché non si incorra in facili illusioni.  La condizione necessaria perché questi mezzi siano sufficienti per una centralizzazione spontanea, è che queste lotte abbiano effettivamente ugual carattere. In che senso? Queste lotte devono portare le stesse rivendicazioni. Non bisogna quindi illudersi che questi mezzi possano miracolosamente centralizzare un mucchio di lotte di carattere diverso. Infatti occorrono due condizioni. Da un lato lo sviluppo delle contraddizioni del capitalismo deve far si che si rendano uniformi le spinte materiali che portano i proletari sul piede di guerra. Dall’altro, occorre che vi sia una milizia proletaria, preesistente che fissi gli obbiettivi politici della lotta dal riferimento degli interessi di tutta la classe, e porti le armi della lotta politica sventando le trappole politiche che tenderà il capitale nel tentativo di sventare tutto.

Dunque fin da ora, in cosa consiste essenzialmente questa lotta politica? Consiste nel combattere la concorrenza fra operai, spinta dallo sviluppo stesso del capitalismo, nonché dalla divisione del lavoro, dalla gerarchizzazione, e i mille e più mezzucci che i capitalisti hanno trovato per scongiurare questo processo.

Infatti «l’organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico torna ad essere spezzata in ogni momento dalla concorrenza fra gli operai stessi. Ma risorge di nuovo, più forte, più salda, più potente».

Ecco che emerge bene, già in queste poche righe del Manifesto dei Comunisti, quelli che sono i compiti essenziali dei comunisti nelle lotte: garantire le condizioni politiche perché lotte diverse che coinvolgono gli operai diventino lotte di ugual carattere, affinché prorompi la lotta di classe contro classe, che è quindi lotta politica.

Marx ci spiega quando la lotta diventa lotta politica, nonché quando la lotta fra proletari e borghesi diventa lotta di classe contro classe, in modo particolarmente intuitivo in una lettera a Bolte del 23/11/1871. «Il movimento politico della classe operaia ha naturalmente come fine ultimo la conquista del potere politico per la classe operaia stessa, e a tal fine è naturalmente necessaria una organizzazione precedente della classe operaia, sviluppata fino ad un certo punto, una organizzazione che nasce dalle sue lotte economiche stesse. D’altro canto però, ogni movimento in cui la classe operaia si contrappone in quanto classe alle classi dominanti e tenta di impor loro qualcosa esercitando una pressione dall’esterno, è un movimento politico. Ad esempio, il tentativo effettuato in una singola fabbrica o anche in un singolo settore di imporre ai singoli capitalisti una riduzione del tempo di lavoro ricorrendo allo sciopero etc., costituisce un movimento puramente economico: il movimento volto ad imporre una legge per le otto ore etc. è invece un movimento politico. In questo modo dai movimenti economici isolati degli operai si sviluppa ovunque un movimento politico, cioè un movimento della classe per imporre i suoi interessi in forma generalizzata, in una forma che possiede forza universale, socialmente vincolante. Se è vero che questi movimenti presuppongono una certa organizzazione precedente, è vero anche che dal canto loro essi sono in pari tempo un mezzo di sviluppo di tale organizzazione». Queste parole rendono ancora più chiaro il legame dialettico fra lotte dei proletari, intervento politico delle avanguardie comuniste, e lotta di classe. Si dice che il carattere politico della lotta per le 8 ore è dato dal fatto che coinvolgeva tutta una classe in una lotta dello stesso carattere, indipendentemente dai risultati concreti che quella lotta può dare. Inoltre si dice che tale lotta è stata possibile grazie alla precedente esistenza di una soggettività politica capace di introdurre una prospettiva di classe nel movimento operaio, ed allo stesso tempo, che questa soggettività può prendere forma e slancio nel corso del movimento stesso.

Perché una organizzazione possa incidere apportando alla lotta gli insegnamenti di quasi due secoli di storia del movimento operaio, occorre che questa si presenti preparata.  Leggendo questo opuscolo risulterà chiaro il tipo di preparazione che occorre, a nostro avviso.

Un’altra precisazione, per scongiurare il lettore che ancora non si difende a modo contro chi persevera su una linea opportunista: non è che il carattere politico della lotta sta nell’aver rivendicato o ottenuto qualcosa dallo stato borghese!  Noi ripudiamo ogni forma di rivendicazionismo, e riformismo. Al contrario, è lo stato borghese che cerca di portare su questo terreno la lotta, e quindi arrestare il carattere minaccioso che può assumere il proletariato, quando questo prende confidenza con la sua incredibile forza.

Quest’ultima citazione chiarisce il carattere dialettico del famoso rapporto partito-classe, ed il processo che porta i proletari dalla lotta economica alla lotta politica, nonché alla lotta di classe contro classe.

Questo gruppo organizzato e preesistente di comunisti deve essere interno alle lotte economiche che i proletari esprimono, spingendo perché le rivendicazioni si uniformino, perché queste lotte diventino di ugual carattere.

L’intervento dei comunisti nelle lotte economiche procede inevitabilmente per successivi stadi, benché mai sottoponendosi alla spontaneità, sempre un passo avanti, e sempre indicando quello che è  l’obbiettivo storico della classe: la soppressione della società divisa in classi.  Siamo consapevoli del fatto che le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, benché tendono ad uniformarsi al ribasso, non sono ancora del tutto uguali, e quindi i proletari sono ancora poco inclini alla solidarietà di classe, al rifiuto della concorrenza fra proletari, in due parole all’unità. Sta ai comunisti coltivare sempre fra gli operai più sensibili lo spirito di indipendenza politica di classe, far penetrare nelle avanguardie operaie una organizzazione compatta di stampo rivoluzionario e di ispirazione giacobina (spiegheremo quest’ultima cosa nel seguito). Questa penetrazione è la premessa indispensabile della lotta di classe contro classe, e a sua volta, come si è detto, la lotta di classe contro classe può svilupparsi in lotta rivoluzionaria solo se ciò che la teoria aveva in serbo (il comunismo scientifico) prende forma e vitalità nella classe.

Occorre spendere due parole per prendere le distanze da un’altra illusione, propria di certi ambienti, dove ci si illude che spingendo rivendicazioni che siano di per sé “già di classe”, in quanto “abbracciabili dalla classe intera”, le singole lotte possono diventare “lotte di carattere politico”. Noi non aderiamo a questa impostazione: in primo luogo perché il carattere politico di una lotta sta nella mobilitazione indipendente almeno di larghi strati della classe; in secondo luogo perché il percorso di ricomposizione di classe attorno a rivendicazioni unificanti è tortuoso, e segue inevitabilmente lo sviluppo della lotta economica, nonché lo sviluppo del capitalismo stesso: occorrono insomma determinate condizioni economiche e sociali perché possano i proletari avanzare rivendicazioni tali da segnare il passaggio all’offensiva. Occorre quindi essere in testa  ai periodi di avanzata e gestire le ritirate, accompagnando ogni momento della lotta di classe con un ponderato ed attento commento politico, inquadrando ogni momento in una prospettiva di classe, e non dissociarsi dalle lotte in nome di rivendicazioni di principio. In due parole, perché sbagliano i compagni di questi ambienti? Sbagliano esattamente come quel generale che dà sempre le stesse indicazioni ai propri soldati, incurante dell’andamento della guerra.

Caro lettore, noi siamo consapevoli dell’entusiasmo che esprimono i proletari nelle avanzate, del lavoro sporco degli adulatori del culto della spontaneità, e soprattutto dello scoraggiamento che segue innanzi alle sconfitte. In questo senso, non possiamo che essere al fianco del proletariato in queste vicende, con particolar cura delle delicatissime ritirate, perché il bilancio della lotta che rimane nelle teste dei proletari più avanzati sia un bilancio politico di classe. La lotta fra proletari e borghesi è un susseguirsi di battaglie che compongono la trama di una lunga guerra. Piccole vittorie e soprattutto tante sconfitte segneranno la morale delle milizie proletarie. Sta ai comunisti inquadrarle perché gli entusiasmi e lo scoraggiamento siano equilibrati da una prospettiva di lungo periodo e rivoluzionaria.

«I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari: e dall’altra per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia».

Il movimento complessivo è un fenomeno mondiale. Dunque il nostro impegno non può che essere internazionalista. Ma cosa è l’internazionalismo? Non è altro che la lotta politica sinora descritta su scala mondiale. Bene, a tal fine, siamo vicini e a contatto con le altre organizzazioni nel mondo che si pongono i nostri stessi obbiettivi politici, nella prospettiva di una futura ricomposizione delle forze rivoluzionarie su scala internazionale. Eppure, a nostro avviso questo lavoro di confronto e collegamento resta velleitario se non si procede a combattere il nemico a casa propria.

Ad ogni modo, chiunque difende posizioni scioviniste, razziste o nazionaliste in seno al proletariato, pur magari promuovendo le lotte degli operai, è reazionario e nostro nemico. Qualunque organizzazione che difende sempre l’internazionalismo come valore necessario per l’emancipazione del proletariato come classe, è nostro alleato. Chiunque difende una parte dei proletari contro l’altra, per quanto possa energicamente essere presente in alcune lotte parziali che vedono proletari e borghesi sul terreno dello scontro, è un reazionario. Chiunque lotta contro la concorrenza fra proletari, e le logiche corporativistiche o operaistiche, è dalla nostra parte.

Occorre essere presenti, nei limiti delle nostre forze, in tutte le manifestazioni che vedono antagonisti i proletari, portando costantemente non delle generiche “rivendicazioni di principio”, bensì spingendo nelle manifestazioni di lotta concrete dei proletari, l’unificazione dei fronti della lotta, i valori della solidarietà di classe e dell’internazionalismo, nonché la parola d’ordine rivoluzionaria della soppressione del sistema del lavoro salariato.

Dunque è indispensabile che i collaboratori lavorino per raccontare e soprattutto inquadrare le manifestazioni di lotta che pur ci sono, commentandone gli sviluppi e le involuzioni. Far si che questa nostra piccola organizzazione diventi poco a poco un vero e proprio riferimento e soprattutto una forza nella sparpagliata e disordinata lotta dei proletari, è l’obbligo di chiunque aderisce.

Portare gli strumenti di informazione rivoluzionari in ogni luogo significa diffondere  le armi dell’unica lotta politica che oggi ha carattere rivoluzionario; dunque contribuire al lavoro instancabilmente sistematico volto a far diventare lo scontro fra proletari e borghesi, uno scontro di classe contro classe, e preparare il contesto necessario per il trasformarsi in scontro per la vera libertà, ovvero insorgenza del movimento centralizzato del proletariato contro lo stato capitalista.

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